PATRIMONIO CANTATO

Filastrocche

Introduzione

Ho diviso in due sezioni le filastrocche: A. filastrocche ludiche; B. filastrocche fiabesche.

Nelle filastrocche ludiche, canti infantili che accompagnavano i giochi, compaiono spesso elementi religiosi: i più rappresentativi sono riferiti a gesti sacrali, come la genuflessione, l’inchino, il battersi il petto, lo sguardo levato al cielo. Ma molti giochi infantili riconducono a ritualità pagane, come il girotondo intorno al proprio asse, che è una costante dei giochi infantili, il quale rappresenterebbe – a detta dell’antropologo – una danza iniziatica, in quanto permette di collegarsi all’entità superiore.

Alla seconda sezione appartengono le filastrocche fiabesche, che cioè erano recitate dai narratori o narratrici popolari o come prologo o come epilogo di una fiaba.

Le filastrocche di prologo 
Per stuzzicare la curiosità dei piccoli ascoltatori la narratrice (di solito una zia, una comare o una donna anziana del quartiere) o il narratore (un anziano inabile, ma dotato dell’arte di narrare), prima di dare inizio alla narrazione della storia fiabesca, recitava delle filastrocche divertenti, a guisa di prologo del racconto:

Ng’era na vota
nu viecchiu e na vecchia:
s’abbuttàre re pere cotte
e se zelare tutta la notte.
  C’erano una volta
un vecchio e una vecchia:
si saziarono di pere cotte
e si cacarono tutta la notte.

Queste filastrocche testimoniano la grande creatività della gente di Bagnoli, dotata pure di un grande humor, che immancabilmente suscitava il riso dei piccoli ascoltatori.

Le filastrocche di epilogo 
Al termine del cunto, la narratrice recitava, come epilogo, un’altra filastrocca, diversa da quella del prologo. La strofa che sempre appariva in margine al racconto deragliava dai significati che uno a quel punto si aspettava, sicché il narratore, deridendo i suoi piccoli ascoltatori, li metteva in sospetto e li risvegliava:

… a la tavula nvitàre pur’a mme:
me riére nu maccaturu russu:
i’ m’appulìzzu lu culu e bbui lu mussu!
  … al banchetto invitarono pure me:
mi diedero un tovagliolo rosso:
io mi pulisco il culo e voi la bocca!

A questo punto il narratore cavava di tasca un fazzoletto, se lo passava dietro e lo allungava sotto il muso dei presenti. La strofa, posta come clausola, era una costante delle fiabe che terminavano con un banchetto nuziale. Come pure quest’altra:

Loru s’abbuffàre r’ carne e tòteri,
e a mme me ittàre sulu st’uossu!
  Essi si saziarono di carne e maccheroni
e a me gettarono solo quest’osso! 

Così dicendo, la narratrice mostrava l’osso del naso. Il compito della strofa di chiusura era quello di riportare, seppure in modo brusco, i piccoli spettatori dal mondo fantastico al mondo reale. Ma suscitando il riso. O tendeva a ristabilire un equilibrio tra irreale e reale, tra finzione e quotidianità:

E mo’ loru stanne ddà 
e nui stamu qua!
  E ora essi sono là,
e noi restiamo qua.

La filastrocca era naturalmente legata al contenuto e al finale della fiaba narrata.

Indice degli argomenti

  1. Filastrocche ludiche
  2. Filastrocche fiabesche