PRATICHE MAGICHE

Riti propiziatori

Ritualità funebri

 

Il sigillo della vita

Prima dell’arrivo del sacerdote, una parente del defunto, rigorosamente una donna, eseguiva un rito funebre, di cui ho trovato traccia unicamente a Bagnoli (l’episodio a cui direttamente ho assistito risale al 1979). L’operatrice accendeva una candela benedetta alla Candelora, entrava da sola nella camera del defunto e lasciava cadere tre gocce di cera nell’ombelico. Forse per sigillo della vita. L’informatrice (Gargano), che la praticò, non ha saputo spiegarmi il motivo: “Accussì faciévene quiddi r’ prima, accussì fazzu iu. E m’aspettu ca quannu chiuru l’uocchi iu, trovu quacche anema bbona ca me re ffaci pur’a mme! (Così facevano i nostri antenati, così faccio io. E spero che, quando anch’io avrò chiuso gli occhi, ci sarà qualche anima buona che lo faccia pure a me!).

Ma era l’ultima superstite di un rito ignoto agli altri, sicché alla sua morte, avvenuta di lì a pochi anni, non si trovò nessuno capace di celebrare per lei lo stesso rituale. L’attrice del rito doveva essere, a detta della stessa testimone, una donna. Forse perché donna è colei che presta il primo aiuto a chi nasce e donna deve essere colei che presta l’ultima cura a chi muore.

Accompagnato dai nove tocchi della campana a morto, arrivava il parroco con i chierichetti e la croce di ferro. Impartita la benedizione, il parroco scendeva in strada e lì attendeva l’arrivo della bara per avviarsi alla chiesa.

La sistemazione della salma nella bara

Prima di deporre il morto nella bara, il parente più stretto gli infilava in una tasca un fazzoletto e nell’altra una manciata di spiccioli. Se era una donna, le si poneva accanto nella bara anche un grembiule e una pezzuola che in vita aveva portato sul capo. Tutto questo perché il morto doveva presentarsi al cospetto di Dio vestito decentemente. Si dice che talora il morto a cui non avevavo dato il fazzoletto, sia andato in sogno a un parente lamentandosi che nell’alidà non stava bene.

Era costume più comune porre la moneta accanto alla salma nella bara, perché al defunto si faceva indossare un vestito senza tasche. L’atto (le testimonianze sono di Lioni, Nusco, Calitri), è residuo di un antico rito pagano. Superata la credenza dell’obolo da offrire al traghettatore Caronte, la presenza delle monete nella bara spiegherebbe la convinzione che il defunto anche nell’altro mondo abbia gli stessi bisogni che ha da vivo.

La cerimonia funebre

Un tempo non esistevano nei nostri paesi le agenzie funebri, e i funerali erano curati dalla chiesa. Appena il parroco veniva informato della dipartita di un cittadino, mandava il sacrestano per chiedere se per il defunto volevano un funerale di prima, di seconda o di terza classe. Tutto dipendeva da quanto si voleva spendere.

Il funerale di prima classe prevedeva un catafalco alto e ben addobbato, quattro candelieri d’argento con i ceri vergini, la messa officiata da tre preti, quattro cordoni, che terminavano con una nappa, stretta in pugno da quattro parenti; la banda musicale, che accompagnava il feretro dalla chiesa al cimitero, le orfanelle del convento che lungo il tragitto recitavano preghiere per il morto; la croce d’argento con il Cristo in oro. Il funerale di seconda classe comportava un catafalco disadorno, i candelieri d’argento con i ceri già accesi altre volte e la croce di ferro. Per il funerale di terza categoria era prevista una cerimonia sobria: senza catafalco, i candelieri di ottone con quattro mozziconi di cera, la messa officiata da un solo prete e la croce pure di ottone.

La terza fase del lutto

Al momento della partenza della salma da casa, riesplodeva il lamento incontrollato, e questa è la terza fase, la fase del congedo, dando luogo a un ulteriore momento di dolore parossistico. Le donne della famiglia si aggrappavano alla bara e la trattenevano nel tentativo di non lasciar portare via il defunto; e poi, quando il corteo funebre prendeva l’avvio, le medesime donne si affacciavano al balcone e si sbracciavano e urlavano e si strappavano i capelli.

Queste forme di lutto, che erano ancora vive in Irpinia negli anni Settanta e in alcune sacche del territorio anche dopo il sisma dell’80,  ricordo che suscitavano l’irrisione delle persone erudite e la repulsione dei forestieri di città. La stessa repulsione che tutti provano oggi che hanno fretta di seppellire il caro estinto, vergognandosi pure delle scomposte manifestazioni di dolore e di lutto dei pochi superstiti esecutori del rito arcaico.

Al tempo, che era appena ieri, della convivenza con la morte, è subentrato oggi il tempo della paura della morte. Un tempo i nostri morti li portavamo ancora per lungo tempo dentro di noi: perciò ci venivano in sogno per molte notti; perciò noi li vedevamo materializzarsi negli stessi luoghi in cui erano vissuti. Anche la visita oggi si riduce a una stretta di mano, mentre si mormora un frettoloso: “Condoglianze!” E poi, chi si è visto si è visto, ognuno si piange i guai suoi. I nostri nonni amaramente avrebbero commentato: Priesto, tata, ca pàssene re ppecure! (Presto presto al cimitero, papà, ché stanno arrivando le nostre pecore).

Il defunto veniva portato via nella bara coi piedi avanti, cioè volti alla porta, perché non guardasse la casa: così se ne scongiurava il ritorno. Plinio (VII, 40) ne dà una motivazione diversa: “E’ secondo natura che l’uomo nasca con la testa davanti, mentre è costume che si porti alla sepoltura con i piedi davanti.”

In chiesa, invece, la bara deve entrare con i piedi del morto davanti, perché il defunto abbia lo sguardo volto all’altare. Se il morto è un religioso, il capo viene rivolto ai fedeli, perché è a loro che egli deve rendere conto: così assicura la testimone di Lioni (D’Amelio). Compiuta la cerimonia funebre, la bara era voltata perché la salma uscisse dalla chiesa di nuovo con i piedi davanti.

Dopo la messa funebre si accompagnava la bara fino al camposanto. Al passaggio del feretro, come segno di rispetto, i negozianti chiudevano le porte e le saracinesche delle botteghe. La salma non viene seppellita subito; la bara scoperchiata resta una notte nella cella mortuaria. Al ritorno dal cimitero quanti avevano partecipato al funerale seguivano i luttuati fino in casa. Rinnovate le condoglianze con una stretta di mano, la gente andava via. I parenti e gli amici più stretti restavano fino a sera per confortare la famiglia in lutto. Il mattino successivo solo i parenti stretti vanno al cimitero per assistere al seppellimento del caro estinto.